Ogni volta ci stupiamo di fronte alle vittime e ai danni. Ma non ne traiamo alcuna lezione. Finita l'emergenza torniamo ad assumere gli stessi comportamenti. Passata l'emozione ce ne ricorderemo?
di OscarMancini
Di nuovo sott’acqua. Capita più o meno ogni anno. Ogni volta ci stupiamo di fronte alle vittime e ai danni. Ma non ne traiamo alcuna lezione. Finita l’emergenza torniamo ad assumere gli stessi comportamenti che determinano l’accresciuta vulnerabilità del territorio. Dimentichiamo che all’origine dei nostri guai vi è una dilagante cementificazione del territorio, il disboscamento selvaggio lungo i fiumi, la mancanza di una manutenzione geologico – idraulica del Bel Paese già di per sé strutturalmente fragile. In sostanza permane nelle politiche pubbliche e private un approccio di dominio sull’ambiente piuttosto che sulla convivenza tra uomo e natura. Era il 2004 quando la prestigiosa Accademia Olimpica di Vicenza lanciava l’allarme: nell’ultimo mezzo secolo la popolazione della provincia berica è cresciuta del 32% mentre la superficie urbanizzata ha subito l’impennata del 324%: dieci volte tanto.
Qualche tempo dopo con mirabile capacità di sintesi scriveva il vicentino Gian Antonio Stella sul Corriere: “Un blocco di cemento di 1070 metri cubi: è questa la dote portata alla provincia di Vicenza da ogni abitante in più dagli anni novanta. Crescita demografica: più 52.000 abitanti pari al 3%. Crescita edilizia: 56 milioni di metri cubi, pari a un capannone largo 10 metri, alto 10 e lungo 560 chilometri. Ne valeva la pena?” Era il 24 maggio del 2006 quando la CGIL vicentina denunciava “un consumo di territorio abnorme, disordinato, sprecone, indifferente a tutti i rischi. Una crescita urbana senza forma, che ha impermeabilizzato il territorio, rallentato la ricarica delle falde e nel contempo provoca frequenti esondazioni dei corsi d’acqua”. Da questa analisi ne faceva seguire una critica all’impostazione del Piano Territoriale della provincia (PTCP) e la proposta di una più saggia pianificazione urbanistica fondata sul “blocco del consumo di suolo, il riuso delle aree dismesse in luogo dell’espansione urbana” e un programma a lungo termine di manutenzione idrogeologica capillare al posto di opere di canalizzazione e arginatura che producono solo un senso di falsa sicurezza.
Era il 23 giugno 2009 quando oltre cento associazioni sottoscrivevano un articolato ed approfondito documento di critica al Piano Territoriale della Regione Veneto (PTRC) “che lascia briglia sciolta a livello locale a tutti gli interessi immobiliari sul martoriato territorio veneto”. Sulla base di quel documento furono presentate oltre 15000 osservazioni a un piano che contiene affermazioni francamente aberranti come quando si afferma (pag. 36) che c’è ancora tanta campagna nel Veneto sicchè il consumo di suolo non è un problema reale, poiché la percentuale di terreno rurale è di molto superiore a quella delle terre coltivate: come se l’attività economica del settore primario fosse l’unica ragione della salvaguardia del suolo dall’urbanizzazione, se l’obiettivo non dovesse essere quello della difesa del territorio rurale nel suo complesso, e se non fosse già gigantesca l’area impermeabilizzata e sottratta al ciclo naturale. E’ da questo approccio che nel Veneto nascono come come i funghi mega operazioni immobiliari quali “Veneto city, Quadrante Tessera, Città della Moda, Base Usa, Motor City “per assecondare i progetti degli immobiliaristi e soddisfare le aspettative della rendita.
Non saranno le alluvioni a fermare gli interessi della rendita. La speranza è riposta nella capacità dei cittadini di trarre insegnamento dal sempre più frequente manifestarsi del dissesto idrogeologico per rivendicare una svolta nella politica urbanistica della Regione, delle Province e dei Comuni ,che concedono con troppa facilità licenze edilizie per fare cassa e coprire i buchi di bilancio. Per impostare una diversa politica della mobilità che privilegi la rotaia in luogo del trasporto su gomma, il collettivo al posto dell’individuale. Se guardiamo prioritariamente alla domanda sociale non sarà difficile rendersi conto che all’interno del territorio urbano vi sono ampi spazi per soddisfare le esigenze presenti e future: molte aree hanno perso le originarie funzioni e possono essere trasformate,intere periferie necessitano di essere riqualificate. In sostanza bloccare l’espansione si può se consideriamo il territorio come un bene comune e non come una riserva di caccia per gli investimenti immobiliari. La sfida per il domani riguarda un ripensamento complessivo dell’economia e delle forme d’insediamento sul territorio che ne sono la concretizzazione materiale.
La sapiente opera dell’uomo nel corso dei secoli ha reso il Veneto è uno dei territori più belli d'Europa. Ricco di storia, arte, cultura, paesaggio. Non a caso è la prima regione turistica d'Italia. Ma, da alcuni decenni ha contratto una malattia molto grave: il consumo di territorio. Un cancro che avanza ogni giorno a ritmi impressionanti. Non è la denuncia di un pericoloso ambientalista bensì dell'ISTAT. Il suo rapporto annuale ci segnala che "in Veneto, che già nel 1991 condivideva con la Lombardia il primato di regione "più costruita" d'Italia, le superfici edificate crescono ancora del 5,4%, approssimando situazioni di saturazione territoriale. [ ..] il Veneto è anche la regione dove si è costruito di più (oltre 100 Km2 di nuove superfici edificate)." L' ISTAT prosegue con un ammonimento: "la domanda di nuova edificazione segnala un cambio di paradigma, che rischia di mettere in crisi la stessa immagine storica dei territori". Un linguaggio davvero inedito per il nostro compassato Istituto di Statistica ampiamente motivato da uno sconsiderato spreco di territorio, causa primaria del dissesto idrogeologico. Passata l’emozione per l’emergenza alluvione ce ne ricorderemo?
Articolo riproducibile
autore e fonte (www.rassegna.it
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S. Francesco ecologista ante litteram
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DOMANDA:COSA L'HA SORPRESA DI PIU' DELL'UMANITA'?E Lui ha risposto: