Crisi in Irlanda, l'Europa è al sicuro?
L'UE aiuta l'Irlanda, ma la crisi non sembra risolta. I salvataggi pongono le basi delle crisi future? Quali sono i rimedi per i malanni che affliggono l'Unione? Risponde Armando Carcaterra
Di Armando Carcaterra di AnimaSgr
D1: Perché, nonostante l'annuncio degli aiuti all'Irlanda da parte dell'UE, la crisi non si è risolta?
A partire dal 2009 i mercati hanno colto una grave vulnerabilità nella costruzione istituzionale dell’Euro e, purtroppo, finché i governi europei non vi porranno rimedio in forme adeguate e credibili, il rischio di crisi a catena dei debiti sovrani continuerà a rimanere nell’aria.
Per sopire definitivamente le turbolenze, i mercati devono convincersi che i governi dei paesi più solidi sono disposti a sostenere finanziariamente i paesi in difficoltà e che,la Banca Centrale Europea, sia pronta a rifornire le banche dell’Eurozona di tutta la liquidità necessaria.
Questo è quello che hanno fatto gli USA ela FED. Ovviamente gli aiuti e la liquidità non possono essere fini a se stessi e devono essere erogati per accompagnare nel tempo l’aggiustamento dei conti pubblici ed il risanamento delle banche
insolventi. Ma, come ci ha insegnato la vicenda Lehman Brothers, è una strada senza alternative.
Francesco Giavazzi, uno dei più autorevoli economisti italiani, nel 2008 aveva salutato il fallimento di Lehman Brothers come “un bel giorno per il capitalismo”. Di recente ha scritto sul Corriere della Sera che, quella sua affermazione, era una sciocchezza: il costo del rigore può essere troppo alto da sopportare e da giustificare.
Oggi quel costo, per l’Europa, può essere la fine della moneta unica. Non è un caso che la crisi greca si sia tamponata, nel maggio 2010, solo quando i governi europei ed il Fondo Monetario hanno varato un Fondo di Stabilizzazione Europeo da 750 miliardi di Euro. E’ bastato l’effetto annuncio. Allo stesso modo è bastato qualche dubbio del cancelliere Merkel
sulla copertura delle perdite dei titoli di stato, per scatenare la nuova violenta crisi irlandese
D2:La Germania vorrebbe che i paesi meno virtuosi pagassero per i propri errori. I salvataggi pongono le basi di crisi future?
E’ vero esiste questo rischio. La ricetta tedesca per l’Europa è che i paesi “indisciplinati” riducano il loro debito pubblico adottando subito drastiche restrizioni fiscali per correggere le loro finanze.
Il paradosso è che proprio la crisi dell’Irlanda è la dimostrazione palese che la ricetta tedesca per tenere insieme l’Europa è quantomeno insufficiente.
L’Irlanda, infatti, prima della crisi finanziaria del 2008-09, era uno dei paesi più virtuosi dell’intera Unione Europea. I conti pubblici erano in surplus (anche quando quelli tedeschi erano in deficit) ed il debito su Pil era solo del 25% (quello tedesco del 65%). Inoltre il governo irlandese è stato il primo nel2009 a varare misure di aggiustamento fiscale per finanziare il sostegno pubblico dato alle sue banche. Adottando il punto di vista tedesco, l’Irlanda era un
paese “super-virtuoso”. Il problema, non di poco conto, era la “mala gestio” del sistema finanziario, con le banche che si sono via via impegnate in progetti immobiliari insostenibili, senza un adeguato controllo da parte delle Autorità di Vigilanza.
La ricetta tedesca, che agisce soltanto sui debiti pubblici, potrebbe applicarsi ragionevolmente alla Grecia, al Portogallo ed all’Italia, ma non spiega la crisi irlandese e neppure quella spagnola (la cui vicenda assomiglia per molti versi a quella irlandese). La crisi europea è, dunque, più complessa di come può apparire.
D3: Quali sono, quindi, i rimedi per i malanni che affliggono l'Unione?
Come è comprensibile il tema è molto complesso, ma può essere sintetizzato in tre aree di intervento tra loro complementari:
1. la disponibilità a rifinanziare (se necessario) il Fondo di Sostenibilità Europeo varato a maggio e a rafforzare il coordinamento sovranazionale delle politiche fiscali dei paesi dell’Unione Europea (come garanzia di prevenzione dell’insolvenza degli stati)
2. l’emersione di tutte le perdite ancora latenti nelle banche europee e l’adozione di strumenti comuni per la gestione ordinata dei casi di insolvenza
3. la determinazione della BCE, a mantenere nel sistema, tutta la liquidità bancaria necessaria nella fase di risanamento
La crisi irlandese è paradigmatica nel far capire perché questi tre aspetti sono tutti contemporaneamente importanti.
I conti pubblici irlandesi sono infatti andati fuori controllo perché il governo di quel paese ha dovuto salvare le sue banche, a loro volta rese insolventi dall’esplosione della bolla immobiliare. Le perdite delle banche irlandesi si sono rivelate, però, troppo grandi per l’economia della sola Irlanda (quasi 1/3 del suo Pil). Le stesse rappresentano nello stesso tempo solo il 5% dell’intero sistema bancario dell’Eurozona: ciò che apparirebbe di piccola entità se l’Europa fosse una sola cosa è, invece, un problema insolubile per i governi presi singolarmente. Questo è vero anche per i paesi più forti: se l’Irlanda andasse in default, perfino le banche tedesche sarebbero in pericolo (perché ne detengono 140 miliardi, un’entità superiore al 4% del Pil tedesco).
Lasciare i paesi periferici dell’Unione isolati, senza risorse disponibili e privi ormai anche della possibilità di svalutare la propria moneta, evoca nei mercati una sola prospettiva: quella dell’insolvenza causando la fuga degli investitori. E’ questo perverso gioco di aspettative che eccita gli appetiti speculativi, diffonde il panico e irradia il rischio di contagio anche in direzione di paesi molto più grandi come Spagna e Italia.
Se l’Europa avesse invece a disposizione strumenti comuni di intervento, la dimensione degli squilibri dei paesi periferici apparirebbe ai mercati del tutto gestibile e lo spettro del contagio non si affaccerebbe neppure. Di crisi in crisi, i governi europei (perfino quello tedesco), stanno prendendo atto di questa realtà. Nonostante le inerzie, le paure e le resistenze, da questa lunga catena di crisi l’Europa può uscire rafforzata.
D1: Perché, nonostante l'annuncio degli aiuti all'Irlanda da parte dell'UE, la crisi non si è risolta?
A partire dal 2009 i mercati hanno colto una grave vulnerabilità nella costruzione istituzionale dell’Euro e, purtroppo, finché i governi europei non vi porranno rimedio in forme adeguate e credibili, il rischio di crisi a catena dei debiti sovrani continuerà a rimanere nell’aria.
Per sopire definitivamente le turbolenze, i mercati devono convincersi che i governi dei paesi più solidi sono disposti a sostenere finanziariamente i paesi in difficoltà e che,
Questo è quello che hanno fatto gli USA e
insolventi. Ma, come ci ha insegnato la vicenda Lehman Brothers, è una strada senza alternative.
Francesco Giavazzi, uno dei più autorevoli economisti italiani, nel 2008 aveva salutato il fallimento di Lehman Brothers come “un bel giorno per il capitalismo”. Di recente ha scritto sul Corriere della Sera che, quella sua affermazione, era una sciocchezza: il costo del rigore può essere troppo alto da sopportare e da giustificare.
Oggi quel costo, per l’Europa, può essere la fine della moneta unica. Non è un caso che la crisi greca si sia tamponata, nel maggio 2010, solo quando i governi europei ed il Fondo Monetario hanno varato un Fondo di Stabilizzazione Europeo da 750 miliardi di Euro. E’ bastato l’effetto annuncio. Allo stesso modo è bastato qualche dubbio del cancelliere Merkel
sulla copertura delle perdite dei titoli di stato, per scatenare la nuova violenta crisi irlandese
D2:
E’ vero esiste questo rischio. La ricetta tedesca per l’Europa è che i paesi “indisciplinati” riducano il loro debito pubblico adottando subito drastiche restrizioni fiscali per correggere le loro finanze.
Il paradosso è che proprio la crisi dell’Irlanda è la dimostrazione palese che la ricetta tedesca per tenere insieme l’Europa è quantomeno insufficiente.
L’Irlanda, infatti, prima della crisi finanziaria del 2008-09, era uno dei paesi più virtuosi dell’intera Unione Europea. I conti pubblici erano in surplus (anche quando quelli tedeschi erano in deficit) ed il debito su Pil era solo del 25% (quello tedesco del 65%). Inoltre il governo irlandese è stato il primo nel
paese “super-virtuoso”. Il problema, non di poco conto, era la “mala gestio” del sistema finanziario, con le banche che si sono via via impegnate in progetti immobiliari insostenibili, senza un adeguato controllo da parte delle Autorità di Vigilanza.
La ricetta tedesca, che agisce soltanto sui debiti pubblici, potrebbe applicarsi ragionevolmente alla Grecia, al Portogallo ed all’Italia, ma non spiega la crisi irlandese e neppure quella spagnola (la cui vicenda assomiglia per molti versi a quella irlandese). La crisi europea è, dunque, più complessa di come può apparire.
D3: Quali sono, quindi, i rimedi per i malanni che affliggono l'Unione?
Come è comprensibile il tema è molto complesso, ma può essere sintetizzato in tre aree di intervento tra loro complementari:
1. la disponibilità a rifinanziare (se necessario) il Fondo di Sostenibilità Europeo varato a maggio e a rafforzare il coordinamento sovranazionale delle politiche fiscali dei paesi dell’Unione Europea (come garanzia di prevenzione dell’insolvenza degli stati)
2. l’emersione di tutte le perdite ancora latenti nelle banche europee e l’adozione di strumenti comuni per la gestione ordinata dei casi di insolvenza
3. la determinazione della BCE, a mantenere nel sistema, tutta la liquidità bancaria necessaria nella fase di risanamento
La crisi irlandese è paradigmatica nel far capire perché questi tre aspetti sono tutti contemporaneamente importanti.
I conti pubblici irlandesi sono infatti andati fuori controllo perché il governo di quel paese ha dovuto salvare le sue banche, a loro volta rese insolventi dall’esplosione della bolla immobiliare. Le perdite delle banche irlandesi si sono rivelate, però, troppo grandi per l’economia della sola Irlanda (quasi 1/3 del suo Pil). Le stesse rappresentano nello stesso tempo solo il 5% dell’intero sistema bancario dell’Eurozona: ciò che apparirebbe di piccola entità se l’Europa fosse una sola cosa è, invece, un problema insolubile per i governi presi singolarmente. Questo è vero anche per i paesi più forti: se l’Irlanda andasse in default, perfino le banche tedesche sarebbero in pericolo (perché ne detengono 140 miliardi, un’entità superiore al 4% del Pil tedesco).
Lasciare i paesi periferici dell’Unione isolati, senza risorse disponibili e privi ormai anche della possibilità di svalutare la propria moneta, evoca nei mercati una sola prospettiva: quella dell’insolvenza causando la fuga degli investitori. E’ questo perverso gioco di aspettative che eccita gli appetiti speculativi, diffonde il panico e irradia il rischio di contagio anche in direzione di paesi molto più grandi come Spagna e Italia.
Se l’Europa avesse invece a disposizione strumenti comuni di intervento, la dimensione degli squilibri dei paesi periferici apparirebbe ai mercati del tutto gestibile e lo spettro del contagio non si affaccerebbe neppure. Di crisi in crisi, i governi europei (perfino quello tedesco), stanno prendendo atto di questa realtà. Nonostante le inerzie, le paure e le resistenze, da questa lunga catena di crisi l’Europa può uscire rafforzata.